Lavorava muto

Lavorava muto, lontano da tutti, invisibile e colmo di disprezzo per quei piccoli dilettanti per i quali il talento è un ornamento da società, che, poveri o ricchi che siano, incedono con aria selvaggia e vesti stracciate o esibiscono il lusso di cravatte eccentriche e la cui unica preoccupazione è di vivere felici, amati e da artisti, senza sapere che opere buone nascono solo sotto la pressione di una vita cattiva, che chi vive non lavora e che bisogna essere morti per essere davvero creatori.

Rileggendo Thomas Mann, Tonio Kröger, traduzione di Anna Rosa Azzone Zweifel: quasi un programma.

(11/06/25)

Domattina ci riprovo: conversazione con Massimo de vita

Ma bisognerebbe vederlo muoversi. Lavorando a questa chiacchierata con Massimo de Vita, da quaranta e più anni anima del Teatro Officina di Milano, avverto bene certi limiti della parola scritta: non nel senso pigro dell’impotenza a rappresentare — ci vorrebbe una moratoria per l’aggettivo “indescrivibile” — quanto perché l’arte di de Vita rifiuta la pur minima staticità richiesta dal linguaggio illustrativo. Vale per ogni attore, certo: ma questo attore ha quasi novant’anni, e non è semplice mostrare quanto le sue parole vivano realmente solo nel modo in cui vengono pronunciate o recitate — evitando con ciò lo stereotipo dell’anziano brioso.

Riproviamo, allora; e torniamo sul luogo. È un pomeriggio di metà gennaio 2025. Fuori diluvia. Io e Massimo siamo seduti a un tavolino in legno scuro, poco oltre la seduta dell’Officina: luce radente, il riscaldamento riparato da poco (grazie a una raccolta fondi di amici e sostenitori), un flebile odore di moquette. A un certo punto discutiamo proprio dell’essere un corpo vecchio. “Dormo poco”, dice lui. “Dormo molto poco però sto sdraiato a letto tanto, la notte, e sono pieno di pensieri. Avrò scordato questo? È domani che ho quell’appuntamento? C’è la lezione coi ragazzi oppure no? E poi”, sorride, la voce s’infiamma impercettibilmente, “quando il corpo si muove”, e qui si alza e accenna un passo di danza, “quando esco a comprare il pane, rinasco”. E si risiede.

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(18/05/25)

Esoneri morali

Solo ora si trovò il tempo per i sentimenti di colpa, per un disagio nei confronti del proprio passato storico. Per questo anche, soltanto ora — e mai in precedenza — divenne in ampia misura attraente ed efficace l’offerta di esonero rappresentata dalla critica in quanto smascheramento dell’estraneazione. Tale critica divenne ben presto monopolio di quella filosofia rivoluzionaria della storia nella quale aveva finito col trasformarsi, contro l’immediata opposizione dei suoi creatori e protagonisti, la “Teoria critica”. Tale esonero risiede nell’assunto secondo cui non occorre più avere la coscienza morale — nel momento in cui su di essa gravano i sensi di colpa —, se ci si trasforma in coscienza morale. Dall’ubbidienza tardiva nasce la coscienza morale che si “ha”; dalla disubbidienza tardiva nasce la coscienza morale che si “è”, quel tribunale a cui si sfugge trasformandosi in esso.

Dall’Apologia del caso di Odo Marquard: parla della fine degli anni ’60, ma mi sembra descriva perfettamente anche i nostri tempi.

(13/05/25)

80 years after liberation

Italy today celebrates the 80th anniversary of its liberation.

After two-and-a-half years, Italian partisans got rid of both the Nazi German former ally that had occupied half the country and morally rid itself of the already-fallen Italian fascist regime. To put it jokingly: We Italians invented fascism, but luckily we also invented anti-fascism.

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(25/04/25)