L’antisemitismo a sinistra: tentativo di una genealogia

Criticando alcuni cortei femministi dell’8 marzo per non avere dato pari dignità di lutto al massacro del 7 ottobre 2023, Luigi Manconi ha suggerito di non ignorare, fra l’altro, «la persistenza largamente inconscia di tracce di una antica e tenacissima giudeofobia, che tende a riprodurre diffidenza e sospetto». Il problema non è nuovo ma se ne discute molto di recente, per ovvie ragioni; ed essendo particolarmente imbarazzante rischia subito di provocare malumori o accuse reciproche.

Meglio dunque essere chiari: non intendo puntare il dito o sciorinare dati che non abbiamo sulla reale incidenza dell’antisemitismo a sinistra: vorrei invece proporre una seduta di autoanalisi — un doloroso tentativo di rintracciarne le cause.

Per cominciare mettiamo fra parentesi gli orrori della cronaca così come le furiose astrazioni o le pieghe narcisistiche che affliggono il dibattito. Limitiamoci a questo: se esiste anche solo un’ombra di antisemitismo in certi settori della sinistra, soprattutto radicale — e se alla luce del massacro di Israele a Gaza ciò appare rinfocolato — bene, molto semplicemente: com’è possibile?

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(27/04/24)

A un certo punto la montagna finisce

Il 5 gennaio scorso ho partecipato a una serata di proiezione fotografica nel comune di Saint-Nicolas (Valle d’Aosta) che frequento da molti anni ed è ormai un pezzo importante della mia vita. Nella palestra della piccola scuola abbiamo visto sfilare aquile, volpi, gipeti, pernici, galli forcelli, avvoltoi e lupi, colti in quota vicino a lariceti imbiancati o sui prati alti ricoperti di neve. Il fotografo, Davide Glarey, ha raccontato le immagini con grande bravura e un’esplicita morale di fondo: “Nessuno scatto vale il benessere degli animali”.

Una bella serata. Ho imparato molte cose e ne sono uscito con un amore ancor più grande verso la montagna, un desiderio ancor più forte di proteggerla e rispettarla; ma una cosa su tutto mi ha colpito. A un certo punto è apparsa la foto di una lepre variabile, piuttosto comune nell’arco alpino: in estate il mantello è bruno mentre d’inverno vira interamente al bianco (a parte due vezzose macchie scure in cima alle orecchie) per mimetizzarsi e difendersi dai predatori. Il dettaglio interessante è che la muta avviene comunque a ogni cambio di stagione, anche se non nevica; di conseguenza, per evitare di fungere da ideale bersaglio nell’erba nuda, la lepre deve salire più in alto. “Ma non può salire troppo perché deve anche trovare cibo”, ha aggiunto Glarey; “e poi a un certo punto la montagna finisce”.

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(06/02/24)

Alcuni problemi del discorso pubblico italiano

Avevo già le mie tesi, ovviamente. Come non averle? Negli ultimi mesi mi sono però concesso un piccolo esperimento: ho seguito il discorso pubblico italiano con maggiore attenzione e varietà di fonti, prendendo appunti, senza pretese di statistica ma anche per non scivolare nella mera aneddotica o nel pregiudizio. Avevo le mie tesi, appunto, ma prima di esporle mi sembrava opportuno corroborarle un poco; e non sono stato deluso. Alla luce di tale esperimento sul discorso — e di sua frequentazione pluriennale come autore e fruitore — suggerisco dunque un elenco dei problemi che a mio avviso lo affliggono.

Un intervento del genere ha due rischi: il partito preso, che genera accanimento e durezza eccessiva, e un certo margine di generalizzazione. Mi auguro di averli evitati, ma nel caso sarò lieto di essere falsificato — lo dico senza alcuna ironia.

Per “discorso pubblico” intendo qualsiasi intervento, opinione, dialogo, proposta e così via, espressa su giornali o riviste o in radio o televisione o in piazza: concetto estremamente ampio, me ne rendo conto, ma al contempo abbastanza maneggevole. E riassumo la tesi di fondo per i frettolosi: la parola è trattata molto spesso come bene privato da chi dovrebbe invece tutelarne l’aspetto pubblico e comunitario.

Purtroppo per i meno frettolosi, soprattutto se ben motivati, il problema riguarda in parte anche loro. Le uscite di Sangiuliano o Lollobrigida gettano certo nella costernazione, ma nascono da un brodo di coltura assai più diffuso, un’abitudine a giustificare sciatteria e incompetenza: pochi se ne possono chiamare fuori. Prendendo ad esempio l’ambito della cultura, ha scritto con esemplare chiarezza Nicola Lagioia su Lucy: “Non siamo competitivi a livello istituzionale. Abbiamo poche idee. Preferiamo i fedeli ai talentuosi. Rischiamo l’obsolescenza mentre il resto del mondo va avanti. È questo, temo, il vero pericolo. A livello nazionale, regionale, comunale, provinciale. Provinciale, questo è il problema. E Sangiuliano è solo l’ennesimo prodotto di un sistema”.

Naturalmente i bravi e bravissimi pure esistono, come esistono canali (editori, radio, reti televisive, podcast…) di assoluta qualità; ma la loro voce risuona fievole, sepolta com’è dal baccano generale, dalla scarsa tolleranza verso il dissenso — i bravi criticano, si impegnano, sono fastidiosi — e dai difetti di cui provo a dare conto.

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(05/02/24)