Alcuni problemi del discorso pubblico italiano

Avevo già le mie tesi, ovviamente. Come non averle? Negli ultimi mesi mi sono però concesso un piccolo esperimento: ho seguito il discorso pubblico italiano con maggiore attenzione e varietà di fonti, prendendo appunti, senza pretese di statistica ma anche per non scivolare nella mera aneddotica o nel pregiudizio. Avevo le mie tesi, appunto, ma prima di esporle mi sembrava opportuno corroborarle un poco; e non sono stato deluso. Alla luce di tale esperimento sul discorso — e di sua frequentazione pluriennale come autore e fruitore — suggerisco dunque un elenco dei problemi che a mio avviso lo affliggono.

Un intervento del genere ha due rischi: il partito preso, che genera accanimento e durezza eccessiva, e un certo margine di generalizzazione. Mi auguro di averli evitati, ma nel caso sarò lieto di essere falsificato — lo dico senza alcuna ironia.

Per “discorso pubblico” intendo qualsiasi intervento, opinione, dialogo, proposta e così via, espressa su giornali o riviste o in radio o televisione o in piazza: concetto estremamente ampio, me ne rendo conto, ma al contempo abbastanza maneggevole. E riassumo la tesi di fondo per i frettolosi: la parola è trattata molto spesso come bene privato da chi dovrebbe invece tutelarne l’aspetto pubblico e comunitario.

Purtroppo per i meno frettolosi, soprattutto se ben motivati, il problema riguarda in parte anche loro. Le uscite di Sangiuliano o Lollobrigida gettano certo nella costernazione, ma nascono da un brodo di coltura assai più diffuso, un’abitudine a giustificare sciatteria e incompetenza: pochi se ne possono chiamare fuori. Prendendo ad esempio l’ambito della cultura, ha scritto con esemplare chiarezza Nicola Lagioia su Lucy: “Non siamo competitivi a livello istituzionale. Abbiamo poche idee. Preferiamo i fedeli ai talentuosi. Rischiamo l’obsolescenza mentre il resto del mondo va avanti. È questo, temo, il vero pericolo. A livello nazionale, regionale, comunale, provinciale. Provinciale, questo è il problema. E Sangiuliano è solo l’ennesimo prodotto di un sistema”.

Naturalmente i bravi e bravissimi pure esistono, come esistono canali (editori, radio, reti televisive, podcast…) di assoluta qualità; ma la loro voce risuona fievole, sepolta com’è dal baccano generale, dalla scarsa tolleranza verso il dissenso — i bravi criticano, si impegnano, sono fastidiosi — e dai difetti di cui provo a dare conto.

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(05/02/24)