Una rivista non cambia il mondo.
Scrivere, studiare e leggere non trasformano la realtà, anche se a volte gli “intellettuali” hanno l’impressione che sia così. Ciò che cambia il mondo è l’azione, l’intervento sociale, la pratica.
Ma una rivista che si pone al servizio delle (e in dialogo critico con le) pratiche di trasformazione della realtà, tenendo assieme un’area, diviene lo strumento in cui si riconoscono persone che fanno e che pensano. Una vera e propria attività militante.
Una rivista può contribuire a cambiare gli immaginari. La qualità del lavoro culturale – che è sempre ambiguo – riguarda la qualità dell’immaginazione. Il rapporto tra le parole e le idee è in grado di influenzare le pratiche.
Una rivista può e deve svolgere un ruolo pedagogico anche restituendo nuova voce a maestre e maestri del passato, maestre e maestri che i collaboratori e i lettori è necessario conoscano e leggano. Questo serbatoio e patrimonio viene ricostruito volta per volta, tramandato e comunicato “da pochi a pochi”.
Una rivista ha una vita e una morte: quando una rivista – e il gruppo che la anima – ha esaurito la sua funzione, ovvero ha perso capacità di lettura e di azione, va chiusa. In caso contrario diventa la caricatura di se stessa e le persone che vi lavorano riproducono solo il proprio ruolo e la propria figura attraverso quella rivista.
Chiusa una rivista se ne fa un’altra, con obiettivi nuovi e aggiornati, con collaboratori e collaboratrici vecchie e nuove.
Gli Asini, Fare una rivista.
(17/10/25)