I demoni di Syd

barrett deninotti

A due anni esatti da Quando ero un alieno, Danilo Deninotti torna in libreria e fumetteria con un’altra bio-graphic novel, di nuovo su un musicista: Syd Barrett dei Pink Floyd: Wish you were here.

(Sì, Danilo è un caro amico eccetera – vale sempre il disclaimer dell’altra volta).

La storia – in una splendida bicromia rosanero – è disegnata da Luca Lenci. Non era facile trattare dei personaggi complessi e delicati come Barrett e gli altri Floyd (e immagino non sia stato nemmeno facile stare dietro alle mille precisazioni di Danilo), ma il risultato è eccellente.

Rispetto a Quando ero un alienoWish you were here ha una potenza visionaria che ben si adatta alla musica psichedelica e rapsodica del gruppo. Se il Cobain di Danilo e Toni Bruno aveva un tono quasi dimesso e la sua storia un andamento pienamente lineare, questo Barrett è cupo, introspettivo, a tratti surreale. La gestione della tavola è completamente diversa: Danilo e Luca la fanno esplodere, la tagliuzzano, la riempiono di dettagli e citazioni (per la gioia del lettore più sgamato), la stiracchiano finché possibile – ma senza esagerare o perdersi in inutili virtuosismi.

Il metodo funziona molto bene, perché consente di alternare i conflitti interni alla band con delle bellissime vignette mute di Londra (pioggia, alberi spogli, cieli incombenti) e di Cambridge; e naturalmente con la rappresentazione del tormento di Barrett, che si fa via via più delirante, complice anche l’abuso di LSD.

Nonostante il piano narrativo orizzontale, che segue l’evoluzione storica del gruppo, il lavoro di cesello di Danilo e Luca agisce su un piano verticale. Come si interagisce con una persona di immenso talento che ha deciso di distruggersi? Come quella persona vive questa discesa negli abissi?

Durante le nostre innumerevoli conversazioni in un certo bar cinese, io e Danilo abbiamo sempre concordato sul fatto che di fronte ai demoni non c’è molta scelta: o combatti, o ti lasci dilaniare. La fuga non è quasi mai un’opzione. Wish you were here racconta il lento disperdersi della coscienza di Barrett, il suo lento arrendersi ai demoni che lo sbranavano dall’interno; e lo fa con grazia. Tanto che le parole del titolo e della celebre canzone dei Floyd – vorrei che fossi qui – suonano ancora più struggenti, e tanto più inutili: dovunque Barrett fosse, era in un posto lontano anni luce da qui. Un posto dove nessuno poteva raggiungerlo.

(13/11/15)