Marx nel XXI secolo

Ho letto un’interessante raccolta di saggi edita da ombre corte, Marx e la società del XXI secolo.

Si tratta di una serie di contributi marxiani (non marxisti, e fuori da ogni apologia) concentrati sulla realtà del lavoro contemporaneo e del capitalismo digitale. Si va dall’analisi della mercificazione dell’informazione e del capitalismo cognitivo alla figura dell’intellettuale oggi, passando per il biocapitalismo e la rilettura del General Intellect e così via.

Il punto focale è chiaro: le categorie marxiane, riattualizzate senza fare ideologie o retoriche passatiste, restano uno strumento valido per comprendere meglio un mondo dove lo sfruttamento e l’alienazione sono sempre più sottili e perversi: un mondo dove il neoliberismo ha trionfato nella sua veste peggiore ovunque, dove da un lato abbiamo impieghi da “società della conoscenza” sempre più ripetitivi e meccanici (produzione di contenuti sottopagati e in stile catena di montaggio) e dall’altro persistono condizioni di lavoro materiale sempre più decentralizzate e orribili (Foxconn e compagnia).

Lontani da qualunque operaismo di maniera – la fabbrica è globale e il soggetto rivoluzionario, se di rivoluzione si può ancora parlare, non può essere ritagliato con facilità – gli otto saggi aiutano a ricomporre un mosaico davvero complesso, e sottolineano una volta di più l’urgenza di porre un freno alle mostruose disuguaglianze che questo sistema ha prodotto. Decodificandolo, e poi – come voleva lo stesso Marx – trasformandolo, invece di limitarsi a interpretarlo.

Quello che accade nella società della conoscenza è la compresenza di plusvalore assoluto e plusvalore relativo. Aumenta cioè sia la giornata lavorativa che la produttività individuale e collettiva. Non c’è cioè il primo fattore senza il secondo. Può apparire un paradosso, ma la centralità della conoscenza nel processo di produzione della ricchezza più che attenuare lo sfruttamento lo accentua, anche se in forme differenti rispetto al passato.
(B. Vecchi)

(06/08/12)