Corpi che faticano

1. Pochi giorni prima di morire — prima di essere deportato dal ghetto di Varsavia verso Treblinka assieme agli orfani che accudiva, rifiutandosi di abbandonarli e anzi premurandosi di vestirli con gli abiti migliori, radunarli in fila e tranquillizzarli come poteva — pochi giorni prima di tutto questo il medico ed educatore Janusz Korczak evocò nel Diario del ghetto un tema per lui molto importante, «una cosa che combatto senza speranze di vittoria, senza una visibile efficacia, ma non voglio né posso sospendere questa lotta». Ovvero:

Combatto affinché nella Casa degli Orfani non ci siano lavori fini e lavori rozzi, intelligenti e stupidi, puliti e sporchi: lavori per signorine di buona famiglia e lavori per la plebaglia. Non ci dovrebbero essere nella Casa degli Orfani addetti esclusivamente al lavoro fisico e addetti esclusivamente al lavoro intellettuale.

Certo l’idea non era affatto nuova: ma colpisce l’insistenza di Korczak in ore così gravi. È il fato che si riserva alle questioni veramente cruciali, il nocciolo di un intero progetto pedagogico e politico.

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(30/04/24)

L’antisemitismo a sinistra: tentativo di una genealogia

Criticando alcuni cortei femministi dell’8 marzo per non avere dato pari dignità di lutto al massacro del 7 ottobre 2023, Luigi Manconi ha suggerito di non ignorare, fra l’altro, «la persistenza largamente inconscia di tracce di una antica e tenacissima giudeofobia, che tende a riprodurre diffidenza e sospetto». Il problema non è nuovo ma se ne discute molto di recente, per ovvie ragioni; ed essendo particolarmente imbarazzante rischia subito di provocare malumori o accuse reciproche.

Meglio dunque essere chiari: non intendo puntare il dito o sciorinare dati che non abbiamo sulla reale incidenza dell’antisemitismo a sinistra: vorrei invece proporre una seduta di autoanalisi — un doloroso tentativo di rintracciarne le cause.

Per cominciare mettiamo fra parentesi gli orrori della cronaca così come le furiose astrazioni o le pieghe narcisistiche che affliggono il dibattito. Limitiamoci a questo: se esiste anche solo un’ombra di antisemitismo in certi settori della sinistra, soprattutto radicale — e se alla luce del massacro di Israele a Gaza ciò appare rinfocolato — bene, molto semplicemente: com’è possibile?

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(27/04/24)

A un certo punto la montagna finisce

Il 5 gennaio scorso ho partecipato a una serata di proiezione fotografica nel comune di Saint-Nicolas (Valle d’Aosta) che frequento da molti anni ed è ormai un pezzo importante della mia vita. Nella palestra della piccola scuola abbiamo visto sfilare aquile, volpi, gipeti, pernici, galli forcelli, avvoltoi e lupi, colti in quota vicino a lariceti imbiancati o sui prati alti ricoperti di neve. Il fotografo, Davide Glarey, ha raccontato le immagini con grande bravura e un’esplicita morale di fondo: “Nessuno scatto vale il benessere degli animali”.

Una bella serata. Ho imparato molte cose e ne sono uscito con un amore ancor più grande verso la montagna, un desiderio ancor più forte di proteggerla e rispettarla; ma una cosa su tutto mi ha colpito. A un certo punto è apparsa la foto di una lepre variabile, piuttosto comune nell’arco alpino: in estate il mantello è bruno mentre d’inverno vira interamente al bianco (a parte due vezzose macchie scure in cima alle orecchie) per mimetizzarsi e difendersi dai predatori. Il dettaglio interessante è che la muta avviene comunque a ogni cambio di stagione, anche se non nevica; di conseguenza, per evitare di fungere da ideale bersaglio nell’erba nuda, la lepre deve salire più in alto. “Ma non può salire troppo perché deve anche trovare cibo”, ha aggiunto Glarey; “e poi a un certo punto la montagna finisce”.

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(06/02/24)