Verso la fine di uno dei libri più belli e meno letti sulla Resistenza — I giorni veri di Giovanna Zangrandi — la protagonista e l’amico Sergio osservano il corteo della Liberazione a Tai di Cadore. È il 2 maggio 1945; il giorno precedente le forze tedesche si sono arrese in Italia e quello stesso giorno si stanno arrendendo a Berlino.
Ci guardiamo in silenzio, non abbiamo voglia di parlare; ci passano davanti quei tipi paludati di tricolori e coccarde, passa via la camionetta dei tommies e delle ragazze. Da sotto le armi esce la voce bassa e roca, staccata, di Sergio: “Adesso comincia il casino, vedrai che razza di casino ci impiantano”.
Il timore può sembrare strano: ma come, adesso comincia il casino? Ora che è finito tutto? Ma non era un sentimento isolato. Nonostante il sollievo, c’era da un lato il rimpianto per un tempo sì feroce ma anche libero ed entusiasmante; e dall’altro il carico di preoccupazioni verso l’immediato futuro.
In Diario partigiano Ada Prospero Gobetti racconta del suo 26 aprile insonne a Torino. A tenerla sveglia non è la lotta che prosegue ancora in provincia, né la difficoltà di ricostruire il Paese: piuttosto l’ansia di combattere «contro interessi che avrebbero cercato subdolamente di risorgere, contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate, contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire». La battaglia si trasferisce in un teatro interiore; la vittoria che ha unito il popolo «si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi».
Ottant’anni ci separano da allora e c’è innanzitutto un equivoco da chiarire: l’idea che il 25 aprile chiudesse più o meno definitivamente i conti con il passato. Così più o meno viene raccontato, del resto; ma quel giorno non ci furono vittoria o pace bensì l’ordine di insurrezione generale emanato dal CLN. Un evento ancora in fieri, non cristallizzato.
E dopo, che accadde?
(25/04/25)