Contro il messaggio

Nel pubblico dei festival letterari o delle presentazioni di libri c’è sempre una piccola ma tenace minoranza che chiede all’autore quale sia il “messaggio” del suo romanzo. Allergico a una visione per cui il testo è un mezzo e non un fine in sé, mi sono sempre affrettato a dire che no, non c’è assolutamente nulla di simile nei miei libri; e del resto lavorare per anni a un romanzo mi pare un metodo alquanto laborioso per fare quel che si può fare con qualsiasi profilo social. Talora mi capita di citare una battuta di Nabokov («Se avessi voluto mandare un messaggio avrei fatto il postino»), tutti ridiamo, e finisce lì.

Ma forse la domanda nasconde qualcosa d’altro. Resto convinto della conclusione — ogni retorica del “messaggio” è di per sé dannosa — ma vorrei saperne di più sulla premessa; indagare le ragioni di un modo di leggere che ai miei occhi appare tanto sbagliato.

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(22/11/23)

Il ponte sull’abisso

Mentre scrivo nel 2023 in Italia ci sono stati più di cento femminicidi – circa uno ogni tre giorni – l’ultimo dei quali, vittima Giulia Cecchetin, ha spero dissipato per sempre il preconcetto molto stupido e molto classista per cui la violenza riguarda sempre altri. I poveri, i disperati, i pazzi, gli stranieri, gli ignoranti, le generazioni cresciute a pane e maschilismo. Già sapevamo che non è così, ma le parole riprese dalla sorella di Cecchetin – “è stato il vostro bravo ragazzo” – sono in qualche modo definitive, di una chiarezza disarmante, e devono suscitare in noi maschi una riflessione più radicale.

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(21/11/23)

Critone, uno di noi

1. Ho riletto il Critone e penso ci siano almeno tre motivi per farlo: perché è un testo fondativo della storia morale d’Occidente; perché è un capolavoro letterario; e perché il coprotagonista del dialogo, Critone appunto, è uno di noi.

È un uomo del suo tempo, piuttosto conformista, animato da buone intenzioni, ma non esattamente un gigante morale o un tipo brillante. È anche disposto ad aggirare la legge per una “buona ragione”: ma è davvero buona? E tutto il suo progetto non è anche segno che ha frainteso Socrate, come sostiene Roslyn Weiss, definendolo “non filosofico”?

Un personaggio del genere è stranamente rassicurante. Certo, è indispensabile rifuggire la tentazione di immedesimarsi troppo in lui o nei fatti narrati, dimenticando che la giustizia e la libertà di cui parla Socrate sono concetti diversi dai nostri.

Del resto trovo altrettanto miope maneggiare il Critone come un reperto inerte, perché il problema che pone — nei termini più generali — è ancora irrisolto.

2. Il dialogo inizia con poche battute pronunciate in una luce tenue: Socrate è imprigionato in attesa dell’esecuzione e, levandosi dal sonno all’alba, si accorge della presenza del suo caro amico Critone. Tutto è ridotto ai minimi termini, con una nudità quasi spettrale: anche il Fedone si svolge nella medesima cella, ma è filtrato da una voce narrante che distanzia i fatti dolorosi — in particolare la celebre scena della cicuta — e soprattutto è ricco di personaggi. Senza contare la differenza di ordine filosofico: se immaginiamo il Socrate dei dialoghi come una funzione che varia dalla persona realmente esistita alla figura attraverso cui Platone elabora la propria teoria, nel Fedone siamo decisamente da quest’ultima parte. Non così nel Critone.

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(21/10/23)