Critone, uno di noi

1. Ho riletto il Critone e penso ci siano almeno tre motivi per farlo: perché è un testo fondativo della storia morale d’Occidente; perché è un capolavoro letterario; e perché il coprotagonista del dialogo, Critone appunto, è uno di noi.

È un uomo del suo tempo, piuttosto conformista, animato da buone intenzioni, ma non esattamente un gigante morale o un tipo brillante. È anche disposto ad aggirare la legge per una “buona ragione”: ma è davvero buona? E tutto il suo progetto non è anche segno che ha frainteso Socrate, come sostiene Roslyn Weiss, definendolo “non filosofico”?

Un personaggio del genere è stranamente rassicurante. Certo, è indispensabile rifuggire la tentazione di immedesimarsi troppo in lui o nei fatti narrati, dimenticando che la giustizia e la libertà di cui parla Socrate sono concetti diversi dai nostri.

Del resto trovo altrettanto miope maneggiare il Critone come un reperto inerte, perché il problema che pone — nei termini più generali — è ancora irrisolto.

2. Il dialogo inizia con poche battute pronunciate in una luce tenue: Socrate è imprigionato in attesa dell’esecuzione e, levandosi dal sonno all’alba, si accorge della presenza del suo caro amico Critone. Tutto è ridotto ai minimi termini, con una nudità quasi spettrale: anche il Fedone si svolge nella medesima cella, ma è filtrato da una voce narrante che distanzia i fatti dolorosi — in particolare la celebre scena della cicuta — e soprattutto è ricco di personaggi. Senza contare la differenza di ordine filosofico: se immaginiamo il Socrate dei dialoghi come una funzione che varia dalla persona realmente esistita alla figura attraverso cui Platone elabora la propria teoria, nel Fedone siamo decisamente da quest’ultima parte. Non così nel Critone.

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(21/10/23)