Giacomo Matteotti

Lo scorso 7 gennaio in via Acca Larentia a Roma varie decine di persone hanno commemorato tre militanti neofascisti uccisi nel 1978 alzando il braccio teso nel saluto del regime. La ricorrenza si svolge ogni anno ma stavolta ha suscitato particolare sdegno a causa della reticenza, da parte del partito al governo, di prendere distanze dal passato eversivo. E come potrebbe, del resto? È la sua cultura. Non sorprende, di converso, che nel 2022 un consigliere comunale di Treviso abbia proposto di cambiare il nome della locale piazza Matteotti, dicendo di non sapere chi fosse costui.

Rilancio però la domanda: che sappiamo davvero, tutti noi, di Giacomo Matteotti? Gli sono dedicate strade, scuole, qualche monumento, alcune righe nei manuali scolastici: si ricorda il suo omicidio per mano fascista cento anni fa, il 10 giugno 1924: ma è tutto, o quasi. E anche quando si discute di modelli di antifascismo il suo nome ricorre di rado, come d’ufficio, legato a una sconfortante idea di martirio o a un rigore in toni grigi.

È vero comunque che gli antifascisti della “prima generazione” sono talora offuscati nella memoria rispetto all’ondata successiva dei partigiani: tutti conoscono almeno di nome Gramsci o Gobetti, ma i tanti altri — che vissero e morirono esuli come Camillo Berneri o difesero leghe e circoli operai nei primi anni ’20 come l’anarchica Anita Ristori o le altre donne additate quali “furie” dai fascisti (vedi sul tema il libro di Martina Guerrini) — dicevo: i tanti altri e le tante altre hanno un ruolo minoritario rispetto al grande epos resistenziale del ’43-’45.

In tal senso il delitto Matteotti funge anche da spartiacque tra un’opposizione al regime più aperta e i lunghi anni di clandestinità, confino ed esilio nei quali l’antifascismo fu costretto a muoversi per vie carsiche. Non solo: la figura di Matteotti stesso ha qualcosa di assolutamente peculiare e minoritario, e tale virtù fu riconosciuta anche dagli avversari nell’opposizione: per ragioni che saranno chiare con le ultime righe dell’articolo, in lui vedo sia una specie di miltoniano — nel senso di John Milton, l’autore del Paradiso perduto. Ma i suoi tratti sarebbero stati apprezzati anche dall’omonimo protagonista di Una questione privata di Beppe Fenoglio.

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(03/02/24)

Qualche ascolto del 2023

In assoluto disordine, ecco alcuni fra i migliori ascolti e riascolti di jazz e classica del 2023:

  • Malipiero, The String Quartets (Complete Edition), Quartetto Venezia;
  • Solal – Erskine, Triangle;
  • Hersch, Let yourself go;
  • Sonny Clark, Sonny Clark Trio;
  • Birnbaum, Preludes;
  • Urbani, 30;
  • McLean, Bluesnik;
  • Cage, Sonatas and Interludes, Agnese Toniutti;
  • Goldmann, Streichquartett n.1, Sonar Quartett;
  • Miller, I cannot love without trembling, Toronto Symphony Orchestra;
  • Prokof’ev, Sonata per pianoforte n. 8, Daniil Trifonov;
  • Schubert, Moments Musicaux, Nadezda Pisareva;
  • Sibelius, Sinfonia n. 6, Herbert von Karajan;
  • Webern, Streichquartett op. 28, Kodály Quartet;
  • Marais, Suite D’Un Goût Etranger, Jordi Savall;
  • Lutosławski, Sinfonia n. 3, Sir John Eliot Gardiner;
  • Strzalek – Nilsson, Scenery Somewhere;
  • Cherry, Complete Communion;
  • Hill, Black Fire;
  • D’Andrea – Tonani – Tommaso, Modern Art Trio;
  • Rosato, Homage;
  • Lentz, “… to beam in distant heavens”, Sydney Symphony Orchestra;
  • Holland, The Montreal Tapes;
  • Perelman – Wooley, Polarity 2;
  • Roberts, Coin Coin Chapter 5: In The Garden;
  • Bartók, String Quartets Nos. 1-6, Keller Quartet.

E poi mi sono regalato il cofanetto della Deutsche Grammophon con tutto Brahms; magari prima o poi ci scriverò sopra qualcosa.

(18/12/23)

Contro il messaggio

Nel pubblico dei festival letterari o delle presentazioni di libri c’è sempre una piccola ma tenace minoranza che chiede all’autore quale sia il “messaggio” del suo romanzo. Allergico a una visione per cui il testo è un mezzo e non un fine in sé, mi sono sempre affrettato a dire che no, non c’è assolutamente nulla di simile nei miei libri; e del resto lavorare per anni a un romanzo mi pare un metodo alquanto laborioso per fare quel che si può fare con qualsiasi profilo social. Talora mi capita di citare una battuta di Nabokov («Se avessi voluto mandare un messaggio avrei fatto il postino»), tutti ridiamo, e finisce lì.

Ma forse la domanda nasconde qualcosa d’altro. Resto convinto della conclusione — ogni retorica del “messaggio” è di per sé dannosa — ma vorrei saperne di più sulla premessa; indagare le ragioni di un modo di leggere che ai miei occhi appare tanto sbagliato.

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(22/11/23)