Acquerelli lunari

Nei ritagli di tempo sto leggendo la bellissima biografia intellettuale di Galileo scritta da John L. Heilbron (Einaudi 2013): qui sono incappato negli acquerelli disegnati da Galileo dopo aver osservato la luna con il cannocchiale nel dicembre 1609 – uno dei momenti di svolta di un’intera civiltà.

Heilbron li definisce “ritratti, impressioni, non mappature precise”, e giustamente li chiama “esempi spettacolari di immaginazione creativa”: rispetto ai disegni stampati nel Sidereus Nuncius hanno tutto un altro fascino. Li trovo splendidi; testimoniano l’animo multiforme e poetico di Galileo, in questo un vero uomo rinascimentale.

(Una volta diffuse le sue eccezionali rivelazioni, Thomas Segeth lo lodò scrivendo che “[Colombo] ci ha dato terre con ampio spargimento di sangue | Galileo stelle, senza danno alcuno. Chi dei due è il più grande?”).

(07/11/25)

Alibi non ce ne possono essere

Pagato con i soldi di tutti, al servizio del popolo, deve possedere o conquistarsi, insieme con i suoi alunni, l’atteggiamento aperto dello stimolatore di idee, del produttore di socialità. Altrimenti diventa uno squallido despota della cattedra che ribadisce le catene spirituali e materiali che ancora resistono nella scuola.
Alibi non ce ne possono essere, per gli educatori. Nessuno come gli educatori ha il dovere di pretendere da se stesso e dagli altri la ricerca continua della verità. Se un insegnante è in buona fede non può tacere e mettere a tacere i giovani che si aprono alla vita in un mondo pieno di delitti compiuti da chi tace o falsifica la verità per difendere privilegi e potere. Deve andare in crisi e rigenerare se stesso nell’instaurazione di nuovi rapporti con i ragazzi, le famiglie, la società.

Mario Lodi, Cominciare dal bambino.

(05/11/25)

Una rivista non cambia il mondo

Una rivista non cambia il mondo.
Scrivere, studiare e leggere non trasformano la realtà, anche se a volte gli “intellettuali” hanno l’impressione che sia così. Ciò che cambia il mondo è l’azione, l’intervento sociale, la pratica.
Ma una rivista che si pone al servizio delle (e in dialogo critico con le) pratiche di trasformazione della realtà, tenendo assieme un’area, diviene lo strumento in cui si riconoscono persone che fanno e che pensano. Una vera e propria attività militante.
Una rivista può contribuire a cambiare gli immaginari. La qualità del lavoro culturale – che è sempre ambiguo – riguarda la qualità dell’immaginazione. Il rapporto tra le parole e le idee è in grado di influenzare le pratiche.
Una rivista può e deve svolgere un ruolo pedagogico anche restituendo nuova voce a maestre e maestri del passato, maestre e maestri che i collaboratori e i lettori è necessario conoscano e leggano. Questo serbatoio e patrimonio viene ricostruito volta per volta, tramandato e comunicato “da pochi a pochi”.
Una rivista ha una vita e una morte: quando una rivista – e il gruppo che la anima – ha esaurito la sua funzione, ovvero ha perso capacità di lettura e di azione, va chiusa. In caso contrario diventa la caricatura di se stessa e le persone che vi lavorano riproducono solo il proprio ruolo e la propria figura attraverso quella rivista.
Chiusa una rivista se ne fa un’altra, con obiettivi nuovi e aggiornati, con collaboratori e collaboratrici vecchie e nuove.

Gli Asini, Fare una rivista.

(17/10/25)

Tanto ancora è opera tua

Mentre son qua nell’ora che sul viottolo
vanno e vengono i ferrovieri, prima
o dopo il loro turno, quasi ora
di cena che la casa è anche più casa,
so che non vuoi lamento, ma preghiera
e vita che perduri nella vita,
fuoco nel fuoco sempre acceso. Tanto
è ancora opera tua, tu devi compierlo.

Da Erba di Mario Luzi, in Dal fondo delle campagne.

(16/10/25)

L’elefante ucraino

Si è parlato spesso in relazione alla Global Sumud Flottilla di “elefante nella stanza”, per sottolineare che i governi e una parte della discussione pubblica discuteva sulle decisioni e comportamenti della Flotilla come se a essere illegali fossero i comportamenti di chi navigava pacificamente in acque internazionali, e non un oltraggio al diritto internazionale quelli di chi pretendeva di impedirlo col ricorso alla violenza. Quelle coraggiose barchette a vela sono riuscite a portare l’elefante in primo piano mettendo in imbarazzo una comunità internazionale inane e intimorita di fronte a regimi che si reggono sulle minacce di coloro che non si sottomettono ai loro voleri, sulla sistematica manipolazione delle opinioni pubbliche e il massacro di intere popolazioni viste come impedimenti all’espansione dei loro poteri.

Come Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean) mentre dal 1 al 5 ottobre eravamo impegnati nella nostra quattordicesima missione in Ucraina, ci siamo sentiti totalmente solidali con quelle imbarcazioni e la loro denuncia, quasi che i nostri corpi, di noi 110 attivisti costruttori di pace italiani diretti a Kharkiv, l’antica capitale che si trova a 35 km dal fronte, fossero essi stessi una specie di fragili vele.

Consiglio di leggere il racconto di Marianella Sclavi del suo viaggio in Ucraina: utile anche per un piccolo ripasso di storia.

(14/10/25)