Su “Conferenze e discorsi” di Albert Camus

Per sua stessa ammissione, Albert Camus non amava parlare in pubblico: eppure gli interventi raccolti in Conferenze e discorsi (trad. di Yasmina Melaouah) vibrano della medesima, sobria luminosità dei suoi scritti, e come prevedibile non concedono alcunché alla retorica. E nella grande varietà dei contenuti — i discorsi furono pronunciati in occasioni molto diverse — scorrono alcuni elementi centrali che si richiamano da pagina a pagina, come motivi musicali: la libertà, l’Europa, il ruolo dell’arte, l’oppressione dei totalitarismi.
Un esempio celebre, per cominciare: l’intervento sulla Crisi dell’uomo del 1946: “c’è una crisi dell’uomo poiché nel nostro mondo la morte o la tortura di un individuo può essere guardata con un sentimento di indifferenza o di interesse amichevole, o di curiosità, o di semplice passività.” Camus punta il dito contro la “civiltà bianca”: era facile scaricare ogni colpa sulla Germania nazista; più difficile impostare un esame di coscienza affinché la barbarie non si ripresentasse. Da qui la rivolta camusiana fondata sul rifiuto di essere vittima o carnefice, verso un mondo che non sia più “dei poliziotti, dei soldati e del denaro per diventare quello dell’uomo e della donna, del lavoro fecondo e del tempo libero meditato”.
Tempo libero, appunto: e per Camus la libertà è cosa diversa dall’uso rapace, sordo alle responsabilità, proprio dalla società mercantile (“una libertà di principio al servizio di un’oppressione di fatto”). Socialista libertario, crede nella conciliazione fra autonomia e giustizia sociale ma in luogo di nuove pesanti ideologie propone uno “stile di vita” (così in un celebre editoriale su Combat). Il proposito è modesto solo all’apparenza: è invece il punto di partenza per un pensiero originale e alternativo alla contrapposizione Est/Ovest, onorando ciò che Stig Dagerman descrisse nei medesimi anni come il “dovere dell’eresia”. E come Dagerman, attirandosi l’anatema degli intellettuali schierati (a volte per opportunismo), Camus rivendica una morale che valuti il dolore quale vero scandalo, e non un mero sottoprodotto della Storia.

[continua su Tuttolibri]

(19/09/20)