L’immaginario sovversivo di Amedeo Bertolo

Il 22 novembre 2016 morì a Milano Amedeo Bertolo, tra i fondatori di A – Rivista anarchicaInterrogationsVolontà; e delle case editrici l’Antistato ed elèuthera. Ho avuto modo di conoscerlo in un paio di occasioni: abbiamo solo scambiato qualche battuta, ma la sua intelligenza e umanità erano subito evidenti – così come il suo carisma.

Da ieri trovate in libreria una selezione dei suoi scritti a cura appunto di elèuthera: Anarchici e orgogliosi di esserlo. Merita senz’altro una lettura, anche e soprattutto da parte di chi conosce poco o nulla del movimento libertario: per la chiarezza esemplare dello stile, per l’originalità delle idee, e la vastità dei temi analizzati. Chi è più edotto vi troverà la bella sintesi di un pensatore importante, e riconoscerà in questi articoli la dote essenziale di ogni libertario: un’ostinata libertà d’analisi, appunto: e un’ostinata volontà di mettere alla prova e rinnovare le idee ricevute dell’anarchismo classico.

(Ho sempre avuto paura delle idee che non sono passate attraverso la forgia del dubbio, del dialogo e della pratica; anche e soprattutto se si tratta di idee giuste. Ecco, questa pigrizia nelle parole di Bertolo non c’è mai: c’è invece un’interrogazione senza posa, che però mai scivola nel relativismo spiccio o nella negazione di alcuni principi di base).

Molte cose si potrebbero dire, aggiungere, discutere: e spero ce ne sarà modo, con il tempo. Intanto vorrei trascrivere una sua lunga citazione tratta dal pezzo L’immaginario sovversivo, del 1987. Trent’anni fa, e non suona invecchiata di un istante; e più ancora, ci ricorda come la trasformazione necessaria non sia la presa di un immaginario Palazzo d’Inverno, bensì una rivoluzione di ordine innanzitutto culturale – un lungo e interminabile esercizio di razionalità, passione e critica del potere. Una prassi dell’oggi e non del domani, un’etica dell’integrità, della libertà e del coraggio:

L’anarchismo è dunque la speranza e la volontà di una trasformazione sociale talmente radicale, talmente in contraddizione con l’ordine esistente da rendere possibile una fortissima tensione utopica. Ma quella stessa fortissima tensione utopica è anche necessaria per indirizzare l’azione sociale verso un mutamento così eccezionale da implicare un vero e proprio salto di qualità […].

Poiché il mutamento anarchico implica un salto di qualità culturale (una “mutazione culturale”, staremmo per dire), la funzione dell’utopia anarchica è innanzi tutto la funzione rivoluzionaria di far crescere la speranza e la volontà di cambiare la società sino al punto non semplicemente di superare i confini di un dato sistema di potere, ma di spezzare addirittura la tenace membrana culturale che separa lo spazio simbolico del potere dallo spazio simbolico della libertà. Una membrana fatta dal millenario depositarsi e stratificarsi e tramandarsi di generazione in generazione, nelle strutture caratteriali e nell’immaginario sociale, dei comportamenti gregaristico-autoritari e dei valori gerarchici, dei fantasmi e dei miti costruiti da e per società costituzionalmente divise in dominanti e dominati.

In questa rottura culturale sta il vero senso della rivoluzione anarchica, che non è le grand soir, non è l’apocalisse, ma una “mutazione” culturale di intensità e portata inaudite, fatta di trasformazioni etiche strutturali, comportamentali, di trasformazioni individuali e collettive. Poiché lo stato è innanzitutto nella testa della gente, dei servi più ancora che dei padroni, la funziono utopica è funzione rivoluzionaria in senso anarchico innanzitutto se e in quanto riesce a dissolvere questo “stato inconscio”, consentendo la liberazione di energie potenziali enormi, aprendo le tanto temute (dai padroni, ma anche dai servi) “cateratte dell’anarchia”

(24/11/17)