Jan Karski

Ho scoperto la storia di Jan Karski quest’autunno, leggendone la ricostruzione di Yannick Haenel ne Il testimone inascoltato. Un partigiano polacco che cercò con ogni mezzo – e dopo varie peripezie, fra cui l’evasione da un gulag sovietico – di denunciare l’orrore dei campi di concentramento tedeschi in Occidente. Nel 1943 ottenne un’udienza negli Stati Uniti, di fronte al presidente e al ministro degli esteri francese: ma non gli credettero. (Oppure gli credettero e decisero di non agire). Una storia eccezionale e insieme terribile, dove le zone nerissime del nazismo si mescolano con le speranze luminose e il coraggio della resistenza polacca, per terminare con il grigiore di chi si voltò dall’altra parte.

Oggi Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso la riprendono con una bella graphic novel edita da Rizzoli Lizard dal titolo Jan Karski. L’uomo che scoprì l’olocausto. Bonaccorso è molto bravo a disegnare delle scene davvero non facili: il suo tratto nitido e mai retorico rende, se possibile, ancora più atroci le scene dei ghetti e del campo di Belzec. Qui trovate qualche tavola: la forma fumetto si dimostra ancora una volta un mezzo potentissimo.

Una lettura che consiglio, anche per avvicinarsi al Giorno della Memoria da una prospettiva spesso poco studiata: quanto si sapeva di preciso dello sterminio nazista nei paesi ancora liberi? E quali le responsabilità di chi lasciò cadere tali informazioni nel vuoto, scegliendo di non scegliere?

Le parole e la vita di Jan Karski, qui ritratte con passione (e qualche piccola concessione narrativa, come spiegato in fondo al volume), ci rimettono in faccia queste domande senza possibilità di eluderle. E ci ricordano quanto sia sempre importante il valore difficile e necessario della parola, della denuncia, dell’impegno.

Per dirla con i pensieri che gli attribuisce Haenel nel libro sopra citato:

All’interno di quella notte bianca che si è aperta nella mia vita, veglio: consacro il mio tempo a rifiutare l’idea che sia troppo tardi. Infatti, con la parola, torna anche il tempo. Ho parlato, non mi hanno ascoltato; continuo a parlare, e forse mi ascolterete: forse voi sentirete quello che c’è nelle mie parole, e che viene più da lontano della mia voce; forse, in quel messaggio che mi è stato affidato più di cinquant’anni fa, qualcosa resiste al tempo, e anche allo sterminio; forse all’interno di quel messaggio c’è un altro messaggio.

Ed è sempre molto importante ascoltarlo.

(20/01/14)