Fatti come se non dovessero essere letti

Tra i libri letti e riletti di quest’estate (prima o poi vorrei farne un bilancio: anzi, vorrei fare un bilancio delle letture degli ultimi due o tre anni: anzi, vorrei una rubrichina dove stuzzicare alla lettura di qualche libro trasversale, bislacco, diverso)  dicevo: tra i libri dell’estate c’è stato anche Nero su nero di Sciascia.

Lo dico spesso: è molto difficile trovare un italiano più bello del suo. Sciascia scrive in modo pressoché perfetto; ed è impossibile non vedere l’intelligenza che irradia questo libro. E tuttavia, come al solito ho delle riserve su alcuni suoi ragionamenti così limpidi da apparire — lo so, sembra un paradosso — un po’ oscuri, quasi disumani: come se la luce li avesse penetrati da cima a fondo, rendendo sintatticamente ineccepibile il discorso, ma incerto il suo vero fine. (Sarebbe facile evocare l’immagine del sole siciliano che acceca: evito di farlo).

Forse lo stesso vale per questo passo, che ho segnato nel mio file di frasi notevoli:

Ma l’elemento principale, quello che più colpisce e deprime, è questo: che i giornali italiani vengono fatti come se non dovessero essere letti — e cioè sul dato, o sul pregiudizio, o sull’inconscia credenza che il lettore non esiste. Che non esista con la sua capacità di giudizio, di discernimento, di critica.

E ahimè, anch’io sto per incorrere in una pericolosa generalizzazione. Eppure l’appunto di Sciascia mi sembra straordinariamente azzeccato. Qui lo scrittore sta parlando del caso Moro, ma l’osservazione tocca subito un nervo ovunque e comunque anche quarant’anni dopo — anzi, pare funzionare ancor più per chi ha avuto la chance di leggere i giornali di allora.

Sì: gran parte di quello che leggo sui giornali oggi mi sembra scritto senza pensare a un lettore di riferimento che abbia un minimo delle suddette capacità. Aggiungo: nel caso dei siti dei quotidiani la sensazione si fa certezza: il lettore, se c’è, è al più un amante delle gallery di tette o pettegolezzi o notizie non verificate o assurdità varie.

Su questo tema ha scritto a lungo e bene Luca Sofri. Io mi limito a porre una domanda: questa “inconscia credenza” che il lettore non esista (o che ne esista soltanto una specie così becera) è pedagogicamente un orrore, e su questo spero siamo tutti d’accordo. Ma oggi come oggi — e grazie al contributo di tutta una élite culturale — è anche una credenza falsa? E se è vera, come possiamo rimediare al di là delle nostre bolle ed evitare di farne un oggetto di marketing?

Non vuole essere una questione peregrina. Del buon giornalismo esiste, e le pratiche sono quelle di sempre: la fedeltà ai fatti, una certa calma e attenzione, uno stile sobrio, opinioni di valore, eccetera: è una lotta di civiltà. Ma, mi chiedo con una certa paura: è sostenibile?

(21/08/17)